ROMA – Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha ratificato la legge con cui la settimana scorsa il parlamento di Teheran ha stabilito l’uscita del Paese dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), l’organismo Onu incaricato di monitorare i siti e le attività nucleari nel mondo. La decisione giunge dopo l’offensiva israeliana avviata il 12 giugno contro impianti nucleari e siti militari iraniani, che ha innescato una guerra tra i due Paesi conclusasi con un cessate il fuoco il 24 giugno. Nel conflitto sono morte una trentina di persone in Israele e oltre 4.500 in Iran. Il governo di Tel Aviv ha giustificato l’attacco motivandolo con la necessità di eliminare il programma nucleare iraniano, con cui Teheran sarebbe stato prossimo a ultimare la creazione di armi atomiche.
L’Aiea, solo il giorno prima, aveva accusato il governo di Teheran di non stare rispettando i suoi obblighi sulla non proliferazione di armamenti atomici per la prima volta in vent’anni, una risoluzione approvata da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania. Alcuni giorni dopo lo scoppio della guerra, il 19 giugno, il direttore dell’organismo Onu Rafael Grossi ha chiarito che l’agenzia non era a conoscenza di nessun “movimento strutturato verso la produzione di armamenti nucleari da parte dell’Iran”. Affermazioni che sono valse al capo dell’Aiea le accuse di “complicità” da parte dei vertici di Teheran nella guerra aperta da Israele, a cui si sono poi aggiunti anche gli Stati Uniti per colpire in particolare l’impianto di Fordow.
Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi in queste ore, ha dichiarato a Cbs News che il bombardamento statunitense del sito nucleare di Fordow ha “gravemente e pesantemente” danneggiato l’impianto. “L’Organizzazione per l’Energia Atomica della Repubblica Islamica dell’Iran sta attualmente effettuando una valutazione, il cui rapporto sarà presentato al governo”, ha aggiunto. Araghchi ha poi affermato “di dubitare che i negoziati con gli Stati Uniti possano riprendere rapidamente, ma non esclude l’idea di una collaborazione diplomatica nel prossimo futuro”.Proprio Washington ha promosso un cessate il fuoco tra i due Paesi, attualmente in corso, invocando tramite i Paesi del G7 – di cui gli Stati Uniti sono parte – la “ripresa urgente dei negoziati per un nuovo accordo globale, verificabile e duraturo sul suo programma atomico”, lo stesso su cui Stati Uniti e Iran stavano lavorando fino all’attacco di Israele. Il comunicato del G7, siglato anche dall’alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas, ha ribadito che l’Iran “non deve mai acquisire armi nucleari”. A Teheran è stato anche chiesto di “interrompere ogni attività di arricchimento ingiustificata” dell’uranio.
FONTI INTERNE AGLI STATI UNITI: “L’IRAN AVREBBE MINATO LO STRETTO DI HORMUZ”
Ieri, fonti interne agli Stati Uniti hanno fatto trapelare sulla stampa internazionale notizie secondo cui l’Iran avrebbe minato lo stretto di Hormuz, punto di passaggio marittimo per circa il 30% del petrolio mondiale. Bloccare i transiti lungo lo stretto o, peggio, far saltare in aria le sue infrastrutture, è la carta che Teheran ha giocato nei giorni del conflitto con Israele per fare pressione sugli alleati di Tel Aviv – a partire da Stati Uniti ed Europa – affinché si ponesse fine all’offensiva. Le ricadute del blocco di Hormuz sui prezzi del petrolio e quindi sull’economia globale sarebbero state valutate dagli esperti come molto gravi.
Ancora ieri, il ministro degli Affari esteri dell’Oman, Badr bin Hamad al-Busaidi, nel corso di un incontro con il suo omologo al Cairo, ha esortato i governi di Washington e Teheran a riprendere i negoziati per raggiungere un nuovo accordo sul nucleare. Il ministro dell’emirato che affaccia su Hormuz, e che stava già ospitando i colloqui in corso tra i due Paesi prima dell’attacco di Israele, ha esortato a “non porre condizioni impossibili per la ripresa dei negoziati. Devono esserci quelle che creano un ritorno ai negoziati solido, ragionevole e sostenibile”, ha concluso.
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